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La goccia

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"E 'n la sua volontade è nostra pace:

ell'è quel mare al qual tutto si move

ciò ch'ella cria e che natura face."

 

Paradiso (III, 85-87)

 

 

C'era una volta un io.

Il quale sempre più spesso si chiedeva chi era, da dove veniva e dove andava.

Invidiava gli altri viaggiatori. Notava che loro erano noncuranti nei riguardi di questi quesiti. Viaggiavano senza preoccuparsi per niente della ragione di quel viaggio comunitario. Perciò non provavano la sua inquietudine. Perché lei era diversa da loro?

Lei e i suoi tanti compagni di viaggio volavano piano sopra la più grande isola del Mare Nostrum. Veleggiavano su una regione verdeggiante, addensati negli strati nuvolosi sospesi in cielo. Il suo minuscolo corpo era composto da non molte molecole d'idrogeno e d'ossigeno. Lei era un corpuscolo di vapor acqueo.

Sotto di sé vedeva scorrere lentamente la verde distesa d'agrumeti con immersi dei paesi. Era bello librarsi nell'aria e volare. Se non fosse stato per quel suo senso di disagio... Un senso d'estraneità e di temporaneità. E pure di solitudine, anche se viaggiava in compagnia d'una miriade di suoi simili trasportati dal vento.

Le nuvole si avvicinarono a una montagna. Il paesaggio cominciò a cambiare. S'inoltrarono sulle sue pendici, sorvolando rilievi boscosi e valli laviche. Era il più alto vulcano del continente. Finché furono nella vetta, su un pendio pietroso. La temperatura era scesa. Lei sentì che il suo essere subiva una trasformazione. Perdeva levità e acquisiva densità. In poco il suo corpo non fu più fluido, ma solido. Era diventata un cristallo di neve.

Discese lieve insieme ai tanti altri fiocchi, cadendo come un piccolissimo paracadute. La nera distesa lavica divenne una bianca distesa nevosa. Stanco, meditando sul suo nuovo stato, il cristallo si addormentò.

Fece in breve un sogno strano, e struggente. Scorgeva un paesaggio non lontano, ma sfuggente. Era un luogo meraviglioso, che egli anelava raggiungere, che gli faceva emergere un ricordo sommerso.

Si svegliò con una sensazione di confortevole tepore. Sul vulcano innevato splendeva il sole. Ne assorbì il piacevole calore. Avvertì che nel suo essere avveniva un'altra trasformazione. Si sentì sciogliere gradualmente, finché non fu più un cristallo di neve, ma una gocciolina d'acqua. Assieme alle altre gocce scivolò in un rivolo nel declivio e penetrò dentro il terreno.

Si ritrovò nell'oscurità all'interno della terra. Il suo cammino continuò nel buio del sottosuolo. Scorse sinché quel tenebroso percorso si concluse, e ritornò alla luce. Risalì in superficie ai piedi del vulcano.

Sgorgò gorgogliando nella fonte di un fiume. Scaturita nella sorgente fu trascinata dalla corrente. Colle molte gocce del fiume fluì fra una verde vegetazione. L'acqua scorse in un non ampio alveo pieno di piante acquatiche, tra le rive rivestite da papiri e canne, fiancheggiate da pioppi e salici. Risuonavano nel verde i versi di una varia fauna. Lei ebbe l'impressione di essere arrivata all'ultimo tratto del proprio viaggio.

E quando, dopo non molto, la piccola goccia giunse in vista della foce, comprese che il proprio peregrinare era terminato. Era arrivata alla meta.

L'acqua del freddo fiume fluì sulla sabbia della spiaggia e confluì in quella del mare. La goccia riconobbe subito l'ambiente familiare. Era finalmente ritornata a casa. Aveva infine ritrovato il suo paradiso perduto. Aveva così ritrovato la sua vera identità. Provò una pace pura, una gioia piena, un amore supremo. Il suo minuscolo io si sentì immerso in un immenso mare d'amore.

In un perfetto congiungimento, la gocciola e il mare furono una cosa sola.

 

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